venerdì 29 giugno 2012

Luci al neon

Pubblicato in "Racconti", Nicola Pesce Editore


                                                                  
                                            


Stasera Gilda è riuscita a non dover aspettare per forza la chiusura di Wall Street. Il turno è coperto a sufficienza e ha chiesto un’ora di permesso. Per oggi gli indici di New York possono tranquillamente andare a farsi fottere.
Mancano cinque minuti alle nove. Potrebbe già spegnere il pc e infilarsi il cappotto sportivo che ha da poco preso in saldo, ma non lo fa. Tutte le sue colleghe di turno lo farebbero, lei no. Irreprensibile sul lavoro, mai un richiamo, mai una disattenzione, mai una telefonata personale. Rapporti di estrema cortesia con tutti, ma fuori da quell’open space asettico al quinto piano della Borsa di Milano li dimentica fino a quando li rivede il giorno dopo.
Dà ancora una rapida occhiata a un paio di quotazioni fluttuanti. Tutto comunque nella norma. Alza gli occhi un secondo dallo schermo e puntualmente scorge a una decina di metri quel porco del suo capo che la sta osservando. Flavio ha per lungo tempo provato a corteggiarla, quasi per un anno da quando Gilda è entrata in Borsa. Tutto sommato con discrezione, senza spingersi a livelli pericolosi di mobbing. Era facile capire che lei non sarebbe stata zitta. La sua condotta non le viene però naturale, non è nella sua indole essere completamente impenetrabile a qualsiasi stimolo da parte dell’ambiente sociale che la circonda. Niente affatto. Ma ha deciso così. Sono ormai passati quattro anni dal suo primo giorno di lavoro e nulla da quel giorno è cambiato. (...)

Diplomata in ragioneria, ha provato per un anno a frequentare legge, ma ha quasi subito preferito un po’ di soldi in tasca. In Borsa fa un lavoro a turni, anche se riesce spesso a fare l’orario dalle due alle dieci di sera, cambiando turno con le colleghe sposate che vogliono entrare in ufficio la mattina presto. Il lavoro le va bene così com’è. Ha soltanto venticinque anni, ma non gliene frega niente di fare chissà quale carriera o di cambiare settore. Si è costruita il suo piccolo microcosmo fatto di regole, di abitudini, di formalità e non ha nessuna intenzione di rinunciarvi.
Alta, slanciata, fisico da modella. Capelli bruni lisci, lunghi fino alle spalle. Occhi scuri. Viso dolce, anche se è quasi impossibile in ufficio strapparle un sorriso. Seno piccolo e ben fatto. Fianchi morbidi. Un trucco essenziale. Camicia da uomo con i primi due bottoni aperti. Pantaloni affusolati. Scarpe con poco tacco. Un piccolo ciondolo d’oro al collo e un orologio, sempre da uomo, al polso destro. Sobria, ma sexy. In ufficio, non soltanto Flavio ha provato ad entrare nel suo mondo, ma la risposta è sempre stata la solita. Migliaia di inviti al cinema, al ristorante, a prendere un aperitivo nei localini trendy vicino alle colonne di San Lorenzo. Tutti rifiutati, ma con gentilezza. Fuori dall’ufficio, divide un appartamento in zona Paolo Sarpi con Chiara, un’amica di famiglia. Strano per Gilda abitare nella chinatown milanese, ma Chiara, che è cresciuta insieme a lei, fa la grafica in una web agency in Brera, è estroversa di natura e loro due si sono sempre completate a vicenda. Quando Chiara l’ha invitata a vedere quell’appartamento in una casa di ringhiera, con i soffitti a volta, i finestroni ampi, due camerette ideali per stare in pace e un living dove condividere i loro segreti, Gilda ha accettato subito. Si è sentita molto in Thelma e Louise. Hanno anche preso un gattino completamente nero abbandonato al parco Sempione. L’han chiamato Dino. E’sembrato a tutte e due un nome abbastanza buffo per quella piccola peste più nera del carbone.
Le nove in punto. Gilda spegne il pc, si infila il cappotto, saluta chi è rimasto con un incolore “Ciao a tutti, a domani” e attraversa l’open space con la sua andatura leggera, come si muovesse su un tappeto di piume d’oca. Uscita dalla stanza, la sua collega Miriam guarda Flavio e gli dice “Ma quella ce l’avrà una vita?”
Flavio alza le spalle. “Per me ce l’ha eccome, ma non lo sapremo mai. Porca troia”.
***
Gilda apre la porta di casa. Chiara è già arrivata, ha preparato cena e l’ha aspettata per mangiare insieme.
“Cazzo, Gil: era ora! Sto morendo di fame. Come stai, brutta stronza?”
“Stavo bene finché non ti ho vista. Che c’è da mangiare, la tua solita pasta scotta?”
Gilda e Chiara si parlano così dai tempi delle superiori. Fanno finta di insultarsi e si danno i peggiori nomi possibili, perché son talmente amiche che prendono tutto per gioco. Dino si sta strusciando contro le gambe di Gilda, che lo prende in braccio e lo bacia, poi lo appoggia sul divano, si sciacqua le mani in fretta, si siede a tavola e incomincia a rilassarsi. Sta assumendo poco alla volta la sua nuova personalità, quella della ragazza di venticinque anni che convive con una sua coetanea.
“Com’è andata al lavoro, Gil?”
“Come al solito”.
“Qualcuno ti è saltato addosso?”
“Ma figurati. Tutti sanno che non ce n’è”.
“Come fai a resistere non lo so. Non mi parli mai di loro: ce ne sarà pure qualcuno carino”.
A differenza di Gilda, Chiara non è particolarmente attraente, ma il suo modo di fare ogni tanto le porta buoni risultati, che a lei però non bastano mai. Inoltre, è da un po’ di tempo che cerca una storia, ma ha un fiuto particolare per i ragazzi che scappano dopo la seconda volta che li rivede. Non se ne dà pace.
Gilda le risponde “Sì, ce n’è qualcuno carino, ma anche ci fosse Raoul Bova gli direi di no”.
“Sì vabbè, vallo a raccontare a tua madre!”
“Te lo giuro. Nessuno in quel postaccio deve immischiarsi nei cazzi miei. Nessuno deve sapere quello che faccio fuori di lì”.
“A proposito, stasera che fai? E’ mercoledì”.
“Infatti. Lo sai dove sono, no?”
Chiara sorride. “Già, è vero. Lo so dove sei”.
“Vuoi venire? Entri e bevi gratis”.
“Manco morta! Non fa per me, con tutti quegli animali”.
“Non è vero, magari all’inizio fanno gli stronzi perché non ti conoscono, ma se metti subito le cose in chiaro, ti rincorrono con le orecchie basse”.
“Sarà…però non hai trovato nessuno che volesse continuare”.
“Perché non l’ho mai cercato. Per ora mi va così”.
“Ma non corri il rischio di trovare qualcuno dell’ufficio?”
“No, loro non sono in quel giro. Non se lo possono permettere. E basta con tutte ste domande, Chiara! Fai la moralista?”
“Io? Ti sembro il tipo? Fai quel che vuoi, mi preoccupo solo per te. Qualcuno lo deve fare”.
“E perché?”
“Perché ti voglio bene, stupida. Ogni tanto ho paura per te”.
“Chiara, so quel che faccio. Mi conosci da una vita. E’ un gioco. Se non gioco adesso, quando lo farò? Stai tranquilla. Vuoi il caffè?”
“Non mi va. Ok, scusami”.
Gilda sorride, si alza dal tavolo e va in camera sua. Si spoglia in fretta e fa ancor prima a scegliere dall’armadio i vestiti per uscire di casa. Entra in bagno a farsi una doccia veloce. Si spalma con cura una crema per il corpo e poi, davanti allo specchio, acqua, sapone e nuovo trucco, ora ben più evidente del rossetto leggero e del fondotinta da ufficio. Possiede però una classe e una grazia che non la fanno sembrare mai volgare. Non lo sarebbe nemmeno con calze a rete e un completino nero in lattice. L’ultima passata di matita per le labbra, ancora un’aggiustata alla frangia. Si accarezza i capezzoli con le dita e si osserva eccitata. Lo specchio non mente mai, come gli ubriachi. E Gilda è ubriaca d’amore per se stessa.
Ritorna in camera e incomincia a vestirsi, indossando con cura un intimo di pizzo grigio scuro, un body nero, jeans strappati, stivali da cowboy di Gucci. Si rispecchia con soddisfazione. “Chiara, come sto?”
“Strafiga come sempre”.
“Bene, vado. Ciao piccola, ciao Dino”.
Gilda si infila un piumino ed anche un cappotto di lana. Fa freddo e deve uscire in scooter. E’pronta per un’altra lunga notte, tanto domani andrà come sempre in ufficio per le due e quindi dormirà almeno fino alle undici. Ed è pronta per un altro cambio di personalità. La notte trasgressiva dei privé la sta aspettando e lei, puntualmente, sta arrivando anche stanotte all’appuntamento.
***
Don’t you know pump it up, you’ve got to pump it up…
La musica pompa eccome, alla grande. Gilda è una pantera sul cubo del privé di uno dei locali più esclusivi di Milano. Balla seguendo il ritmo estremo della house, muove i fianchi strizzati nei jeans, fissa per pochi secondi ogni uomo che balla in pista ai suoi piedi. Sorride con malizia, poi alza gli occhi al cielo e si ributta nel ritmo. E’passata quasi mezz’ora da quando ha fatto la sua prima apparizione nella bolgia del privé, tra poco si darà il cambio con un’altra ragazza.
Martedì, mercoledì e giovedì sono le notti in cui Gilda lavora in discoteca. Mai nel weekend: troppo casino, troppi ragazzini, troppi impasticcati che non sanno reggere, anche nei locali più chic come questo. Mercoledì è la serata perfetta. C’è la gente giusta per lei. Uomini ben vestiti, palestrati e che non hanno problemi ad offrile un tiro di coca e magari a finire la serata a champagne a casa loro. E’da un paio d’anni che Gilda fa questa vita a metà tra l’ufficio e i locali. Ha iniziato per caso, glielo aveva proposto una sua amica che aveva conosciuto all’università, portandola in un club frequentato solitamente dal mondo della moda. L’ha fatto per reagire ad una storia di un anno con un ragazzo che ha amato molto, forse troppo. Ha accettato per gioco, pensando che la prima volta fosse anche l’ultima. Si sbagliava. Ha fatto anche qualche sfilata, ma non se l’è sentita di andare in giro per il mondo, rischiare l’anoressia e dover magari accettare compromessi. In discoteca si diverte di più e può scegliere i partner che vuole, ma soprattutto rifiutare quelli che non vuole.
Da allora non si è più innamorata. Non ha più pensato ad esserlo. Gode del potere che le dà ballare e aggirarsi con un bicchiere in mano tra trentacinquenni vestiti Armani, con una casa sul lago e freschi di pulizia del tartaro. Non tutti, comunque, sanno parlare soltanto della nuova classe di Mercedes. Non tutti la cercano per spogliarla in camera loro due ore dopo averla conosciuta in discoteca. Con Paolo, che ha salutato dieci minuti fa, è amica e frequenta la sua compagnia nei weekend. Paolo è sposato da tre anni, ma ogni tanto cerca di evadere dalla routine, senza spingersi molto più in là del lecito. Uomini come altri, magari più ricchi di altri, forse più sciocchi di altri, ma in fondo uomini, attratti dal desiderio come, chi più chi meno, chi in un modo chi in un altro, tutti quanti.
Gilda si dà il cambio sul cubo con Mary. Corre subito nel bagno di servizio a tamponarsi il trucco e darsi una pettinata. Appena esce dal bagno, trova già appostato sulla porta un tizio un po’ sospetto che le punta le tette senza possibilità di equivoco. Gli sorride, perché è un cliente, ma tira dritto. Il tipo sa che non la può fermare con la forza, perché si sarebbe trovato addosso tre buttafuori: regola ferrea, anche per i clienti abituali. Gilda scorge Paolo su un divanetto e va a salutarlo. Si siede e lui le presenta un paio di amici: uno di questi è molto attraente, si chiama Diego.
Gilda non lavora tutta la sera sul cubo, ma fa soprattutto immagine. Gira per il club, parla, sorride. Fa insieme ad altre ragazze buona pubblicità al locale. Può quindi concedersi un quarto d’ora al divano con Paolo e i suoi amici. Diego sembra molto interessato e incomincia a farle domande, ma con discrezione e cortesia. Tutti gli amici di Paolo si comportavano più o meno così. Gilda gli dice subito del lavoro in Borsa e di questi “extra” per concedersi qualche sfizio in più. In fondo all’anima, è una ragazza borghese, che ha scelto di lavorare la notte nei locali per gioco, ma che ancora oggi dopo un paio d’anni sente di doversi giustificare e si nasconde al mondo intero in uno scantinato con la musica a volume folle.
Diego non mostra il minimo disappunto e la segue con attenzione. E’vestito semplicemente, con una camicia bianca, Levi’s grigi, mocassini neri accollati. Al polso ha un Breil degli ultimi, di forma rettangolare: niente a che vedere con i Rolex o gli IWC dei partner abituali di Gilda. Ha trent’anni, è agente immobiliare. Un ragazzo come tanti, ma con qualcosa in più di altri. Si capisce che non è nel “giro” abituale e che stasera ha voluto seguire Paolo per cambiare ambiente. E’alto, dinoccolato, con un sorriso aperto, sbarbato, lineamenti decisi, occhi verdi che ogni tanto, nel buio del privé rischiarato dalle luci al neon azzurrate, ricordano a Gilda quelli di un gatto. ‘Ha gli stessi occhi di Dino – pensa – e se non parlasse e non sorridesse, mi guarderebbe proprio come fa lui’.
Gilda non riesce a distogliere lo sguardo da Diego, ma decide di tagliare corto e dice a Paolo “Devo tornare a lavorare. Faccio un giro insieme a Silvia, mi sposto con lei vicino al bar”.
“Ma quando torni qui da noi?”
“Non lo so, tanto mica scappate subito, no?”
Diego è pronto a inserirsi e a dire “No, noi non scappiamo. Non lo fare neanche tu” e le sorride con un misto di erotismo e furbizia.
Poche ragazze sarebbero rimaste insensibili di fronte ad un sorriso così intenso. Gilda non è tra queste.
***
Diego abita vicino a Porta Genova, in un appartamento che gli aveva lasciato in eredità una sua vecchia zia. La casa è arredata con gusto. Moderna, senza fronzoli, ordinata. Certamente i mobili originali erano stati regalati oppure piazzati a qualche rigattiere. Offre da bere a Gilda e accende a volume bassissimo lo stereo, mettendo il primo cd di musica lounge che gli è venuto a tiro. Si siede sul divano accanto a lei e la guarda senza parlare, accarezzandole i capelli e le labbra. Sono quasi le quattro di mattina. Gilda sta per abbandonarsi. Sente di aver conosciuto una persona diversa dal solito, ma non vuole per il momento pensare a ciò che potrà accadere dopo questa sera. Diego la guarda sempre più intensamente, quasi in modo imbarazzante. Poi si alza e incomincia a sbottonarsi la camicia, che getta sul pavimento. Un torace asciutto, pettorali sodi, ma non gonfi, i segni degli addominali che spuntano appena. Un fisico da karateka. Tende la mano a Gilda, lei si alza e si fa guidare. Diego la appoggia sul letto e inizia a baciarla con foga, quasi non facesse l’amore da anni. Gilda è stupita, ma eccitata.
In un attimo, Diego si blocca, si alza dal letto e apre un cassetto del comodino. ‘Così presto?’ pensa Gilda, ma lui non prende dal cassetto ciò che lei crede. La guarda e le sorride, tenendo nella mano destra un paio di manette. Gilda si copre d’istinto con il lenzuolo. Vorrebbe urlare, ma non lo fa.
Diego non si scompone e le dice “Non l’hai mai fatto?”
“No”.
“Hai paura?”
“Non lo so, è che…da te, poi…non me lo aspettavo”.
“Se non vuoi, non ti obbligo. Non costringo mai nessuna, perché dev’essere eccitante per tutti e due. Sei libera di rifiutare…come di accettare”.
“Non possiamo parlarne?”
“Ora no. Se vuoi, ne parliamo dopo, o domani sera, o non so quando. Ora devi solo dirmi di sì o di no”.
Gilda fissa Diego per un buon minuto. Lui continua a sorriderle, come a incoraggiarla, rimanendo immobile. Finalmente lei gli risponde.
“Paolo non saprà niente, vero?”
“No, Paolo non saprà niente”.
***
“Gil, ma sei impazzita?”
“Chiara, non capisci. Lui è così eccitante. Se lo conoscessi, cambieresti idea: è proprio il tuo tipo”.
“Non è certo il mio tipo uno che la prima sera mi ammanetta e la seconda mi lega. Hai pensato fin dove può arrivare le prossime volte che vi vedrete per scopare?”
“Non mi costringe a far nulla, se non voglio”.
“Ma ci proverà sempre. E dopo il tuo terzo rifiuto, ti scaricherà. Te lo dico io. Questo come minimo frequenta le feste sadomaso”.
“E anche se fosse? Io lavoro tre giorni a settimana in un club privé, mi ha conosciuta là dentro. Non posso certo pretendere che lui sia un santo. E poi mica stiamo insieme”.
“Sì, certo. Ti conosco, Gilda: andrai a finir male come quando ti sei innamorata di quello stronzo di Massimo. Tutto casa e lavoro, finché non hai scoperto che se ne andava la sera a rimorchiare i trans”.
“Ora basta! Ma è possibile che per te le mie storie devono essere tutte uguali a quella con Massimo?”
“Scusa, ma mi sembrano due persone con molte cose in comune”.
“Sei gelosa, Chiara. Questa è la verità, ma non lo vuoi ammettere”.
“Ma sei scema? Adesso dobbiamo litigare per uno che hai conosciuto una settimana fa e di cui non sai un cazzo?”
“Vaffanculo, Chiara”.
***
“Piano! Attento a non lasciarmi lividi, poi come faccio a lavorare?”
“Che palle! Le mie schiave sono ben diverse da te”.
“Bello, io non sono la tua schiava. E poi come parli? Sei il solito maschilista”.
“Non è vero, ci sono tanti ragazzi schiavi di ragazze padrone. Non è questione di sesso, soltanto di ruolo”.
“Bè, io sono stufa di questo ruolo”.
“Ma se si vede a un chilometro che ti piace…dì la verità”.
Gilda si scoccia. “Basta, mi hai davvero rotto. Chi cazzo credi di essere?”.
Diego perde la calma. “Chi cazzo credi di essere tu, Gilda! Forse stai pensando di poterti comportare con me come con quelli che conosci quando lavori in discoteca. Io non sono come quelli. Io non sono ipocrita come Paolo, che dice a sua moglie che va a giocare a biliardo e quando torna a casa fa finta che il cellulare si è scaricato. Io non sono uno di quelli che ti porta a mangiare sushi e ti riempie di complimenti, per poi fare la stessa cosa con un’altra la sera dopo. Tu puoi fare quello che ti pare con questa gente, non sono certo io a impedirtelo. Ma con me non lo fai”.
Silenzio. Gilda guarda Diego in segno di sfida, ma lui non abbassa minimamente lo sguardo. Lei non sa cosa dirgli, ma sa che lui ha ragione. Era da anni che Gilda non provava un’attrazione simile per un ragazzo, altrimenti non si sarebbe prestata da più di un mese ai suoi giochi, che tutto sommato non le dispiacevano poi più di tanto. Diego ha ragione: lei si è troppo abituata ad essere corteggiata e accontentata in ogni sua richiesta. Non le ha fatto bene, non si è più confrontata con un mondo diverso. E Diego è diverso. Gilda ne è stata attratta forse anche per noia. Ormai lavorare nei club è per lei una routine uguale alle sette ore che fa ogni giorno in Borsa. Certo, una routine più piacevole, ma sempre con una punta di noia. Non ci aveva mai pensato fino ad ora. E adesso è alle prese con un amante del bondage e delle pratiche sadomaso. Sicuro di sé, orgoglioso quanto lei. Non vuole perderlo, ma non sa come portarlo un po’ di più dalla sua parte.
Gilda sta ripetendo a mente le parole che Diego le ha gridato pochi minuti fa. Si ricorda di un paio di affermazioni chiare, precise. In particolare di una. Decide di provare a ripartire da quella.
“Cosa vuoi dire veramente quando dici che non sei come quelli?”
Diego riflette. ‘Furba, la ragazza’, pensa. Anche lui non è così scanzonato come vuol far credere. Anche lui, però, è innamorato di se stesso come Gilda. E’ una bella sfida tra due egocentrici, che si piacciono e che allo stesso tempo non vogliono indietreggiare troppo sulle proprie posizioni. Entrambi giovani, entrambi con la paura di impegnarsi troppo, per poi magari rimpiangere in futuro il tempo perduto. Entrambi, alla fine, poco sinceri con se stessi. Diego accetta comunque il confronto e prova a spiegarsi.
 “Gilda, io non sono un ipocrita. Te l’ho detto prima. Frequento feste di un certo tipo e godo quando faccio il Master. Non è un segreto. Ma cazzo, è un gioco di ruolo, non una guerra. Mi eccita. E se tu non mi eccitassi, non ti avrei mai voluta conoscere. Capisci cosa voglio dire?”
“Ma quanto contano i giochi e quanto io?”
“E’ un mix. Ti ho vista, mi sei piaciuta e ti ho immaginata in certe situazioni. Sono due binari che si incrociano”.
“E non ne puoi fare a meno”.
“Non ne voglio fare a meno. Mi piace e non costringo nessuna, lo sai bene. Non vedo tutti questi problemi”.
“Il problema sono io, Diego. Io non so fin dove vuoi arrivare. Io non ho il controllo sufficiente in questa situazione. E la cosa mi spaventa”.
“Perché ti spaventa? Forse perché…dì la verità, ti senti più coinvolta di quanto vorresti? O di quanto avessi pensato?”
Gilda fa cenno di sì con la testa. L’ha detto. O meglio, l’ha mimato. E’riapparsa, seppur timidamente, la sua ulteriore personalità di ragazza che esprime i propri sentimenti. Diego non ne è sorpreso e rilancia.
 “Ma quanto sei coinvolta? Non lavoreresti più nei club?”
“Guarda che nessuno mi obbliga a proseguire la serata a casa di qualcuno. Per me, è soltanto un’entrata in più che non fa male e in fondo è sempre meglio di spaccarsi la schiena al mercato. O no?”
“Sì, se è ciò che ti va di fare. Ma ti va ancora?”
“E a te?”
“Perché me lo chiedi, scusa?”
“Perché anche tu, secondo me, sei più coinvolto di quanto sembra”.
Ora è Gilda che sembra avere in pugno la situazione. Più che un confronto tra una potenziale coppia, sembra una partita a scacchi. Diego è alle strette. Prova a piazzare lo scacco matto, ma giocando con trasparenza.
“Io sono coinvolto, Gilda. Ma non so se siamo in sintonia come vorrei”.
“Perché?”
“Perché hai ragione quando dici di non sapere fin dove voglio arrivare. Non lo so nemmeno io. Con te vorrei fare un mucchio di cose, ma non so fin quanto sia possibile. Oppure, potremmo anche continuare a fare ciò che abbiamo fatto fino adesso, ma non so quanto tu lo possa sopportare. Per me non ci sono barriere, se c’è il feeling si può andare ovunque. Per te invece no”.
“Ma perché sei così rigido?”
“Non sono rigido, sono libero di fare ciò che mi sento, ovviamente con chi vuole fare lo stesso con me. Limitare questa libertà sarebbe accettare un compromesso. Posso anche accettarlo, ci posso provare. Ma poi non so quanto possa durare”.
“Vuoi dire che…”
“Che un giorno non ti stupire se ti dico che voglio andare a una festa. Con o senza di te”.
“Come con me?”
“Perché no? Non credi che possiamo divertirci insieme a qualcun altro, ogni tanto? Io credo di sì. Non sarebbe la prima volta”.
Per Gilda, che fino a prima di conoscere Diego si credeva Doctor Jekyll e Mister Hyde, impiegata irreprensibile di giorno e regina di chissà quale trasgressione la notte, è un altro colpo. Ripercorre nella sua mente i flashback della sua storia con Massimo, anche se non poteva del tutto paragonare il suo ex a Diego, se non altro perché Massimo le aveva sempre mentito. Diego invece le sta dicendo con assoluta sincerità che lei gli piace, che vorrebbe portarla con sé verso ignoti confini del sesso da superare e che gli sembra del tutto normale una relazione aperta ad altri, se ne si ha voglia.
Gilda non riesce a reggere quest’onda d’urto. Per la sua morale, può andar bene divertirsi senza farsi troppe paranoie con qualcuno che si conosce la sera in un locale, ma con la persona di cui ci si innamora – e lei è innamorata di Diego – non ce la fa, non se la sente, non lo accetta.
E’una questione di ideologia? Poco probabile. Le ideologie hanno attraversato Gilda soltanto di striscio. Si sente quasi come in uno dei tanti reality show che ama guardare in tv. Con la differenza che nei reality si è comunque sotto i riflettori e nemmeno in quel contesto si riesce ad essere sempre se stessi. Invece ora Diego lo è stato, prendere o lasciare. Gilda lo guarda con occhi tristi. Vorrebbe reagire, vorrebbe rovesciare la situazione, ma sa di non poterci riuscire, anche se vuole a tutti i costi avere l’ultima parola. Ed ecco che prova a dirla.
“Chiara aveva ragione”.
Diego rimane per un attimo perplesso, poi dice “Chiara? La ragazza che vive con te?”
“Sì, proprio lei”.
Diego ha capito e si incazza. “Meno male che nessuno doveva sapere niente, Paolo compreso. Ma tu ovviamente non potevi resistere e ti sei confessata con l’amica del cuore! Che immagino ti avrà urlato dietro di lasciarmi perdere”.
“Diego, non è così. Io…le ho soltanto detto…io avevo bisogno di parlarne con qualcuno”.
“E hai risolto i tuoi problemi? Non mi pare”.
“L’ho mandata a cagare, se proprio lo vuoi sapere. Perché ti ho difeso. E invece lei aveva ragione”.
“Bene: lei aveva ragione, tu hai ragione, io non capisco un cazzo e siamo tutti contenti. Dato che è così, puoi anche uscire da dove sei entrata”.
“Aspetta! Io…”
“Basta. Mi hai stufato. Non sei nemmeno capace a mantenere una promessa. Non ho altro da dirti”.
“Ma io…”
“Vattene! Hai capito? Come cazzo te lo devo dire? Vattene via!”
“Mi fai schifo, Diego. Mi fai schifo!”
Gilda scappa di corsa, apre la porta, esce e la richiude sbattendola con forza esagerata. Non aspetta l’ascensore. Si precipita giù per le scale, per poco non investe una giovane mamma con passeggino appena entrata nell’androne, corre senza fermarsi lungo parecchie stradine e arriva al Naviglio Grande quasi senza fiato. Rallenta poco per volta, fino ad uno dei ponticelli in ghisa che attraversano il canale. Finalmente si ferma e si siede su un gradino del ponte. E’ stravolta. Le gira la testa. Sbuffa per una decina di minuti, finché non le passa il fiatone. Guarda l’acqua del Naviglio che come sempre scorre placida in questo pomeriggio di un sabato come tanti altri. Quando si farà sera, la stessa acqua continuerà a scorrere allo stesso modo, accompagnando il ritmo invece frenetico di tutta quella gente della Milano giovane che si concentrerà nei mille pub e discobar sparsi lungo le due sponde.
***
“Che bello! E’il nuovo Nokia, l’ho visto sui manifesti. Fammelo vedere illuminato…dai, fammi una foto e poi me la spedisci…scusa, hai detto che ti chiami Andrea, vero?”
“Vedo che hai poca memoria”. Andrea fa un sorrisetto ironico a Gilda e nel mentre, tra sé e sé, pensa ‘Questa stasera me la porto a letto, poi domani mi dimentico pure io come si chiama, che mi frega’. Gilda fa finta di prendersela e piega la bocca a mò di broncio. Andrea le chiede “A che ora smetti?”
“Non prima delle due e mezza. Perché?”
“Ma niente, sai…mi stavo chiedendo, così, per caso…se ti andava di uscire da qui insieme”.
“E magari, sempre per caso, passare sotto casa tua, che sarà incredibilmente vicina a qui”.
“Più o meno…dai, smettiamola di fare gli idioti. Ti va di venire da me?”
“Ci devo pensare”.
“Ah certo, è una decisione difficile da prendere. Bisognerà convocare una riunione d’urgenza”.
“Scemo!”
“Ti sto prendendo in giro. Come posso convincerti?”
“Devi essere te stesso, Andrea. Tutto qua”.
“Che banalità. Ti va un po’ di coca?”
“No. Magari più tardi”.
“Dopo ne avrai bisogno, perché se vieni da me giuro che mi scateno”.
Gilda lo guarda terrorizzata. “Che dici? Per caso mi vuoi mettere le manette o cose del genere?”
Andrea ha un riflesso sincero di stupore. “Io? Ma per chi mi hai preso?”
“Scusami, l’hai detto in un modo strano. Dai, sarà divertente…sempre se resisti a star qui sul divano a guardarmi mentre giro per il privé. Non ti ingelosire troppo”.
“Ma senti questa! Vai, vai, ci vediamo dopo”.
Gilda sorride, si alza dal divano e si ributta nella mischia del privé. Sa benissimo che tra poco avrebbe fatto ancora un po’ la sciocca con Andrea, avrebbe riso ogni tanto alle sue battute, avrebbe accettato un tiro di coca, lo avrebbe fatto godere e avrebbe cercato di godere anche lei, tentando di dimenticare Diego, anche se soltanto per poche ore. Fino al prossimo, chissà quando, chissà chi, chissà se più adatto a lei. Nel frattempo, la Borsa per avere un lavoro regolare, i club per tentare di divertirsi e poco altro. Bella gente, belle case, qualche regalo per soddisfare la sua vanità. Fino ad una vita forse un giorno migliore.   
Come diceva il protagonista al suo amante in quel film americano della fine degli anni sessanta, “Corri, metti in conto, corri. Prestiti, spendi, corri…spreco, spreco, spreco…e a che scopo?
A che scopo?
Sipario. Applausi”. *
                                                                                                        
* Il film è Festa per il compleanno del caro amico Harold (USA, 1968, titolo originale The boys in the band) (NdA.)     

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